La Chiesa di San Simon, luogo di fede e di incontro, nel corso dei secoli è stata rivestita ed adornata, come una madre amata ed amorevole, da opere d’arte di pregio: segno di profonda cultura ma soprattutto di devozione ed affetto

Il posto d’onore fra le opere d’arte di San Simon di Vallada spetta all’incredibile ciclo di affreschi di Paris Bordon (1500-1571), che illustra la storia e le figure dei Santi Patroni e Protettori e della Storia della Salvezza, dalla Creazione alla Redenzione.

Sicuramente il Bordon (o Bordone), allievo di Tiziano Vecellio, mentre affrescava San Simon visse nella Vallada della metà del Millecinquecento, percorse le strade che percorriamo noi oggi, conobbe i Valladesi del tempo e, chissà, forse ad essi si ispirò per quei ritratti di santi così vivi.

Gli anziani sagrestani e custodi della Chiesa dicevano che nelle sue mani le terre colorate del Monte Celenton diventarono un ciclo di affreschi unico e prezioso, alta espressione del Rinascimento Veneto, che vale alla Chiesa di San Simon il titolo di Monumento Nazionale.

Non è chiaro perché il famoso pittore giunse a Vallada; la tradizione vuole che il Bordone volesse nascondersi per aver offeso un patrizio veneziano, fatto poco credibile: il Vasari lo descrive infatti come un uomo mite, nobile d’animo e schivo. C. B. Tiozzo ha avanzato la verosimile ipotesi che il figurer non sia giunto casualmente a Vallada ma sia stato chiamato dalla comunità della Valle del Biois e in particolare dai membri della Regola di Vallada.

Grazie a un’elegante struttura architettonica Paris Bordone ha trasformato l’interno della chiesa medievale in una magnifica aula cinquecentesca. L’ampio loggiato sorge sopra a uno zoccolo coperto da un finto tessuto policromo a bande verticali gialle, verdi e rosse e si apre sui dolci pendii e sugli estesi dossi.

Nella retrofacciata è dipinto un finto portale e il disegno delle lunette cieche del lato settentrionale corrisponde all’intelaiatura delle vetrate meridionali.

L’ampio cornicione modanato che corre tutt’attorno all’aula realizzava il raccordo con il soffitto le cui capriate vennero in quell’occasione coperte per lasciar spazio a un “Giudizio Universale” oppure a un “Paradiso”, forse non dissimile alla pala dipinta nel 1560 per la chiesa di Ognissanti a Treviso.

Ai lati erano rappresentati in quattro tondi i simboli degli evangelisti ai quali Lorenzo Paulitti si poté forse ispirare, come fece per le figure dei santi Cipriano e Rocco e la scena della Natività, dipingendo la volta e le pareti della chiesa di San Rocco a Celat.

Importante testimonianza riguardante il ciclo pittorico è la relazione della visita pastorale del 29 luglio 1600, durante la quale il vescovo Luigi Lollino ammira con stupore l’opera del Bordone. Con non comune sensibilità artistica, il prelato ordina di non accendere le candele troppo vicine al muro vicino all’altare di sant’Antonio per non rovinarne gli affreschi.

Il vescovo Giulio Berlendis nel 1655 dette ordine di togliere tutto ciò che potesse essere di impedimento alla visione del ciclo eseguito dal pittore trevigiano.

Nel 1724 mons. Valerio Rota proibì di tenere i gonfaloni appesi sui muri della chiesa, per non deturpare la vista dell’opera del Bordone bensì di conservarli in un armadio posto nella Scuola dei Battuti.

La memoria storica del Bordone era già stata persa quando nel 1754 mons. Giacomo Costa visitò la chiesa attribuendo l’opera alla mano di eccelsi professori.

Nel 1774, con l’allargamento della zona absidale, nell’abbattere il muro a sud-est, andarono irrimediabilmente perdute le raffigurazioni dei santi ai lati della piccola abside e il soffitto affrescato. I restanti affreschi vennero coperti da uno strato di calce per uniformare le tinte della vecchia aula alla nuova abside e non come prevenzione contro la peste, come si credeva in passato.

Nel 1802 la costruzione del soppalco per il nuovo organo rovinò sciaguratamente alcune parti degli affreschi.

Nel 1894 la scoperta dei preziosi affreschi del Paris Bordone, coperti di calce da più di cento anni, segnò l’inizio dei lavori di recupero. Nel 1904 infatti la Soprintendenza per i Beni Culturali si impegnò a riportare alla luce, gli antichi affreschi.